Il 15 febbraio 1910, Gabriele d’Annunzio scrisse un articolo sul Corriere della Sera intitolato “Un itinerario bacchico”, ispirato a una lettera scritta l’anno prima da Marina di Pisa ad Hans Barth, giornalista tedesco residente a Roma e profondo conoscitore dei vini italiani.
Nell’articolo, d’Annunzio fa un elogio di questo vino rosso-rubino chiamandolo aulicamente Nepente (dal greco “ne” = non e “penthos” = tristezza, nessuna tristezza, ma conosciuto prosaicamente fino ad allora come “su vinu de Uliana”), e afferma che lui “acquatile” non potrebbe dare al Barth notizie delle taverne pisane ma, ricordando un suo viaggio giovanile in Sardegna, afferma che, se l’amico gli farà visita: “…io vi prometto di sacrificare alla vostra sete un boccione d’olente vino d’Oliena serbato da moltissimi anni in memoria della più vasta sbornia di cui sia stato io testimone e complice… Non conoscete il Nepente di Oliena neppure per fama? Ahi lasso!
Io son certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall’ombra delle candide rupi, e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellette scarpellate nel macigno che i sardi chiamano Domos de janas, per quivi spugnosamente vivere in estasi fra caratello e quarteruolo.
Io non lo conosco se non all’odore; e l’odore, indicibile, bastò a inebriarmi…A te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito ultimamente….Possa io fino all’ultimo respiro rallegrarmi dell’odor tuo, e del tuo colore avere il mio naso sempre vermiglio.
E, come il mio spirito abbandoni il mio corpo, in copia di te sia lavata la mia spoglia, e di pampini avvolta, e colcata in terra a piè di una vite grave di grappoli; ché miglior sede non v’ha per attendere il Giorno del Giudizio”. Fonte IG comuneoliena
Gabriele D’Annunzio: storie di Nepente di Oliena
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