Partecipando a numerosi eventi devo dire che siamo diventati abbastanza critici e preferiamo scrivere le nostre impressioni solo se i vini e le persone che li raccontano hanno attirato la nostra attenzione. Siamo stati ad una degustazione, come spesso accade, senza stare a vedere quali vini ci vengono presentati, perché tanto sappiamo che la sorpresa è dietro l’angolo.
In questa occasione siamo rimasti particolarmente colpiti in modo positivo dal “signor” enologo della cantina in degustazione. La persona in questione si chiama Gaetano La Spina, preparato professionista tosco-sardo, grande comunicatore. Una di quelle persone che catalizza l’attenzione rendendo i tecnicismi, alla portata di tutti, il tutto condito da un pizzico di simpatia. L’argomento in questione era il cannonau che La Spina lavora da 9 anni e su cui potrebbe scrivere un libro, da quanto lo conosce.
I suoi racconti partono dall’arrivo in cantina dove ha dovuto riorganizzare tutto, in particolare il modo di selezionare le uve e la resa “per ceppo” non per ettaro. Abbiamo scoperto che è una condizione vincolante imposta da un disciplinare interno a cui si adeguano i conferitori. Come spesso accade “il continentale” è maggiormente ascoltato di un sardo se si tratta di impostare cambiamenti ed in questo caso dobbiamo dire onore al merito. I concetti che riguardano il suolo, le tecniche di cantina fra lieviti, fermentazioni ed evoluzione del prodotto, sono spiegati talmente bene ed in modo semplice, che alcuni docenti blasonati di corsi di formazioni dovrebbero imparare da quest’uomo.
La degustazione era improntata su 4 versioni di cannonau: spumante, senza solfiti, vigne storiche e cru più un vitigno internazionale. Gli aneddoti per ognuno di loro si sprecano ed è quello che ci piace sentire. Dalle richieste da parte della dirigenza, alle difficoltà incontrate in fase di produzione, alla ricerca del prodotto che si ha in testa, ai successi finali. Si parte in degustazione dallo spumante. A quanto pare il cannonau si presta bene alla spumantizzazione ed è richiesto dai produttori di Prosecco per aiutare i propri vini. Il vino senza solfiti è stata una scommessa vinta a tavolino, per cui l’enologo ha dovuto firmare un documento in cui dichiarava che la durata del vino in perfette condizioni doveva essere di almeno un anno. Tempo ampiamente superato nei test delle vecchie bottiglie, ormai giunte alla terza vendemmia di produzione. La versione delle vigne storiche, nata per celebrare i 60 anni della cantina, è un viaggio che ci ha portato, con i racconti, fra i vecchi vigneti storici.
La serata si è chiusa con il vino di punta, che di recente è stato al centro di polemiche in una guida, per questioni di tipicità. Il punto di vista dell’enologo è che in primis è fondamentale il suolo, poi la pianta come varietà insieme al clima, per cui il terroir lo dà principalmente il suolo. La serata si è conclusa fra gli applausi spontanei dei presenti, unitamente ai complimenti e a la promessa di ritrovarsi in cantina a Dorgali.