Il business generato dalle contraffazioni è in preoccupante aumento a causa della crisi economica che costringe i consumatori ad acquistare prodotti a prezzi inferiori. I sondaggi però ci dicono che il 71% degli italiani teme le contraffazioni a tavola a causa di potenziali effetti nocivi sulla salute. Dal 2007 al 2013 si parla di un incremento del 248% sul valore di cibi e bevande sequestrate perché adulterati, contraffatti o falsificati. Il 2014 si è distinto per aver raggiunto un valore pari a 441 milioni di Euro. E’ recente la provocazione di Coldiretti, fatta nel proprio padiglione a Expo, che ha messo in mostra prodotti stranieri che furbescamente imitano il Made in Italy.
I danni al settore agroalimentare italiano sono stati quantificati in 60 miliardi e 300 mila posti di lavori perduti. L’Unione Europa, a quanto pare, è preoccupata più del diametro delle vongole, che a una piaga per l’economia che ci riguarda in particolar modo. Italia modello nel mondo non solo per la qualità, ma anche per la sicurezza agroalimentare. Tornando alle assurdità U.E. è di recente istituzione il regolamento europeo sull’etichettatura che non obbliga più a indicare lo stabilimento di produzione infischiandosene di tutelare il consumatore. Ci fa piacere che almeno il ministero per le Politiche agricole ha siglato un accordo con le piattaforme web eBay e Alibaba per tutelare le denominazioni Dop e Igp, nel settore cibo e vino.
Cerchiamo ora di capire cosa accade in Sardegna, dove amiamo mangiare sardo, ma non abbiamo prodotti sufficienti nemmeno a far fronte alla domanda interna. Purtroppo sulle nostre tavole troviamo prodotti di diversa origini spacciati per sardi e i principali prodotti agroalimentari, più richiesti, sono a maggior rischio di contraffazione. I cosiddetti “falsi” vengono confezionati con materie prime di qualità scarsa o inferiore e spesso, non rispettano le norme contenute nei disciplinari di produzione.Nell’ isola circolano oltre 3 miliardi di Euro di cibo contraffatto che incide non poco sulla capacità occupazionale. Le produzioni agricole registrano notevoli difficoltà nel soddisfazione le richieste di materia prima delle aziende e spesso si rivolgono ad altre realtà. Se parliamo di maialetto da latte, ad esempio, ogni anno vengono importati in grandi quantità da Olanda e Germania, a un prezzo inferiore, spacciati come “prodotto regionale” da diversi macellai.
Un inganno verso i consumatori e un atto di concorrenza sleale verso gli allevatori locali, che si ripercuote anche sui lavorati come salsiccia secca e prosciutto. Non ci facciamo mancare nulla, troviamo anche “l’olio sardo” prodotto in Spagna o in Grecia e il pane carasau impastato e cotto a fuori Sardegna. Di pecorino romano, il formaggio più esportato dell’isola, né sono state trovate versioni prodotto da una ditta statunitense, a cui si aggiunge anche la truffa di quello prodotto in Romania con finanziamenti pubblici italiani.
La Cina non sta a guardare neanche in questo settore oltre che all’artigianato locale, ma questo è un altro capitolo. La bottarga sarda, in larga parte proveniente da Grecia, Nord Africa e Brasile. Nella lunga lista dei “falsi” oltre al cibo sono presenti vino e prodotti alcolici. La storia recente ci parla di un Filu é Ferru di Sardegna con tanto di etichetta con launeddas, nuraghe e 4 mori in etichetta fatto con acquavite di vinaccia prodotto a Bergamo e imbottigliato a S. Marino. Un’altra società, in questo caso sarda, è stata condannata per pubblicità ingannevole in etichetta dall’Antitrust, per una frase in cui si affermava: è distillato secondo la “tradizione della Sardegna” …”prodotto ancora oggi nel rispetto della tradizione distillatoria isolana”. In realtà il prodotto proveniva da 2 aziende differenti, una emiliana e l’altra veneta.
Altro prodotto sardo frutto di taroccamenti è il liquore di mirto che si è cercato di tutelare con il bollino “Mirto di Sardegna tradizionale” che impone un rigido disciplinare di produzione. Se il vino si chiama Cannonau l’origine delle uve deve essere una sola ”la Sardegna”, ma non è sempre così. Qualche anno fa un’operazione congiunta dell’Ispettorato centrale tutela qualità e repressione frodi e del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, aveva portato al sequestro di 2.500 ettolitri di vino venduto e pubblicizzato come Cannonau di Sardegna, Vermentino di Sardegna e I.G.T. Purtroppo questi vini venivano prodotti con vitigni ne autorizzati, ne raccomandati per le denominazione in oggetto, con materie prime arrivate dalla Puglia e dalla Francia. Spesso se si è attenti, soprattutto con etichette non familiari, oltre alla scritta davanti “Cannonau di Sardegna” o altra D.O.C., controlliamo la retro etichetta. Non è raro trovare scritto in piccolo: imbottigliato in Veneto, imbottigliato in Sicilia, imbottigliato in Campania e quanto meno è dichiarato. Il brutto è trovarsi davanti una etichetta regolare ma sapere che nella cantina x arrivano spesso autobotti sospette dal porto.
Il vino, l’olio, il pane, il formaggio e persino gli ortaggi, sono tanti i prodotti attraverso i quali le imprese isolane “serie” si stanno affermando in termini di qualità e di prezzo, facendo leva su genuinità e tradizione. Per questo occorre puntare sui marchi regionali d’origine che tutelano il territorio e il consumatore come Dop e Igp che oggi si contano in una mano, a fronte di ben 150 prodotti tradizionali.
Mettiamoci del nostro anche nel piccolo per aiutare l’economia fatta di tradizioni da imprese locali Per farvi un esempio, personalmente inorridisco alla vista di chi compra i gnocchetti sardi di aziende nazionali … spero anche voi…
Di Augusto Piras